Il ricorso al Consiglio di Stato del Comune d’Ischia per l’annullamento della sentenza del Tar che ha “salvato” il parcheggio della Siena è “monumentale” come tutti gli atti di questa complessa vicenda. Ma il cuore delle contestazioni mosse dall’avv. Bruno Molinaro risiede nel primo motivo. Una sentenza definita «macroscopicamente illegittima, soprattutto perché frutto di un grave travisamento fattuale». Si evidenzia che «è affetta innanzitutto da grave errore percettivo nella parte in cui, nell’accogliere il ricorso proposto dalla società Turistica Villa Miramare avverso l’ordinanza n. 31/2023, assume, contro ogni evidenza documentale, che le opere sanzionate dal Comune di Ischia siano esclusivamente quelle oggetto delle SCIA e DIA presentate tra il 2014 e il 2021». Qui il ricorso richiama anche l’aspetto penale della vicenda: «Invero, nel pervenire a tale conclusione, il Tar ha sorprendentemente omesso ogni valutazione sia della analitica motivazione posta a base della ingiunzione di demolizione e rimessione in pristino dell’originario stato dei luoghi, sia del contenuto della relazione del 6 marzo 2023, in essa richiamata, di ben 48 pagine, a firma congiunta del Responsabile del Servizio 5, ing. Francesco Iacono, e del tecnico comunale, geom. Filippo Buono, ampiamente corredata da riproduzioni grafiche, rilievi fotografici e rilievi GPS, nemmeno contestati o contestabili dalla società ricorrente. Sia la relazione in questione che la successiva ordinanza che ne recepisce le conclusioni evidenziano – come è agevole rilevare anche ad un primo sommario esame – plurimi abusi, confermati anche dal consulente del Procuratore della Repubblica e dal Tribunale del Riesame con ordinanza ormai irrevocabile, ovvero opere realizzate in assenza di titolo, in difformità o con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire n. 38/2010, sprovviste di autorizzazione paesaggistica e per di più eccedenti anche rispetto alle SCIA e alla DIA presentate tra il 2014 e il 2021».
LA VALENZA DELL’ACCERTAMENTO TECNICO
L’avv. Molinaro rincara la dose: «Leggendo la sentenza, si ha l’impressione che il Tar, pur a fronte del poderoso compendio probatorio posto a base del proprio provvedimento sanzionatorio, immediatamente ed oggettivamente rilevabile, sia incorso in una inspiegabile svista, in un vero e proprio abbaglio dei sensi in ordine alle risultanze materiali del processo».
Richiamando a sostegno proprio la giurisprudenza del Consiglio di Stato: «In materia di edilizia ed urbanistica, è sufficientemente motivato il provvedimento che, a fronte di un abuso edilizio, ne ordina la demolizione con richiamo al verbale di sopralluogo dei tecnici comunali, dato che, com’è noto, il provvedimento sanzionatorio in materia edilizia ha natura del tutto vincolata giacché è conseguente ad un accertamento tecnico della consistenza delle opere abusive realizzate. Il verbale redatto e sottoscritto dagli agenti e dai tecnici del comune a seguito di sopralluogo, attestante l’esistenza di manufatti abusivi, costituisce atto pubblico, fidefaciente fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 2700 c.c., delle circostanze di fatto in esse accertate sia relativamente allo stato di fatto e sia rispetto allo status quo ante».
OPERE VIRTUALMENTE INESISTENTI
Quanto alla inefficacia di SCIA e DIA che si sarebbero per il Tar perfezionate nel tempo, si rileva una palese contraddizione tra la premessa sulla necessità dell’autorizzazione paesaggistica e la conclusione che «la presentazione delle SCIA e della DIA e l’inerte contegno serbato dal Comune hanno … consentito il perfezionamento delle fattispecie legittimanti gli interventi».
E’ palese che i giudici di primo grado hanno contestato all’Ente la precedente annosa inerzia per concludere «è pacifica la intempestività del surrettizio tentativo di procedere alla rimozione, ovvero all’annullamento delle SCIA e della DIA già perfezionatesi – erroneamente qualificate dalla Amministrazione civica come inefficaci – per il superamento del termine di 12 mesi» previsto dalla L. 241/90.
Una tesi che il ricorso mira a smontare in quanto «non trova riscontro né nel diritto vivente né nella normativa richiamata». In particolare, «la tesi secondo cui sarebbe sufficiente per il privato dichiarare semplicemente in una DIA o in una SCIA la irrilevanza paesaggistica dell’intervento per farne derivare il perfezionamento della fattispecie procedimentale una volta decorso il termine di legge, con la sola possibilità per l’amministrazione che ritenga eventualmente il contrario di procedere al riesame del titolo in autotutela, non è giuridicamente supportata e trova netta smentita nella prevalente giurisprudenza amministrativa».
Richiamando una sentenza proprio del Consiglio di Stato: «L’art. 146 del D.L.vo 42/2004 stabilisce che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, o in base alla legge, devono “astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione” dalle autorità preposte alla tutela del vincolo paesaggistico. Al comma 4, inoltre, la norma precisa che “L’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio”; sulla base di tali previsioni questo Consiglio di Stato ha già da tempo affermato il principio secondo cui la mancanza di autorizzazione paesaggistica rende di fatto le opere ineseguibili, in ragione del divieto di cui all’art. 146 comma 2, e giustifica, in caso di realizzazione, provvedimenti inibitori e sanzionatori; correlativamente il titolo edilizio nel frattempo eventualmente rilasciato, in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, non è invalido, ma è inefficace».
Aggiungendo che «essi integrano, perciò, un illecito edilizio e proprio per tale ragione si tratta di opere virtualmente inesistenti, in quanto suscettibili di essere oggetto di ingiunzione di demolizione, e come tali inidonee a costituire la base di ulteriori nuove opere. Il decorso del tempo o, comunque, l’affidamento che la parte possa aver riposto sulla legittimità dei titoli edilizi e sulla non necessità dell’autorizzazione paesaggistica non costituiscono fatti idonei a superare l’illiceità delle opere, dovendosi rammentare che gli illeciti edilizi sono sanzionati a prescindere dallo stato soggettivo di colpevolezza del responsabile dell’abuso». Tanto per desumere la correttezza dell’ordinanza di demolizione.
TOTALMENTE DIFFORMI ANCHE LE PERTINENZE
Sulla natura dell’autorizzazione paesaggistica: «Sul piano generale, è stato, inoltre, chiarito, anche sulla base dell’inequivoco dato normativo, che l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio».
E sempre il Consiglio di Stato ha stabilito: «Gli atti di assenso, quello paesaggistico e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti; ne deriva che il parametro di riferimento per la valutazione dell’aspetto paesaggistico non coincide con la disciplina urbanistico-edilizia, ma nella specifica disciplina dettata per lo specifico vincolo».
Stesso discorso per illecito urbanistico-edilizio e illecito paesaggistico: «Le opere realizzate su un’area sottoposta a vincolo, anche se trattasi di volumi tecnici ed anche se si tratta di eventuali pertinenze, hanno una indubbia rilevanza paesaggistica, poiché le esigenze di tutela dell’area sottoposta a vincolo paesaggistico, da sottoporre alla previa valutazione degli organi competenti, possono anche esigere l’immodificabilità dello stato dei luoghi, ovvero precluderne una ulteriore modifica. Ne deriva il principio secondo il quale le opere abusive, anche qualora abbiano natura pertinenziale o precaria, come si assume nella specie, e, quindi, siano assentibili con mera D.I.A./S.C.I.A., se realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, devono considerarsi comunque eseguite in totale difformità dalla concessione, o dalla D.I.A., laddove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesaggistica e, conseguentemente, è doveroso da parte dell’Amministrazione applicare la sanzione demolitoria».
IL MANUFATTO AL RUSTICO E LA RISERVA IDRICA
Nel “bacchettare” il Comune inerte, il Tar richiamava la relazione all’epoca redatta dall’ing. Francesco Fermo che avrebbe attestato la conformità. Ma nel ricorso si ribatte: «In disparte ogni specifica questione sul punto, comunque superata dalla relazione del nuovo Tecnico comunale Ing. Francesco Iacono del 6 marzo 2023, basata su eventi sopravvenuti e verifiche effettuate con apposita strumentazione tecnologica (GPS), della quale l’Ufficio era in origine sprovvisto, va, in primo luogo, osservato che le valutazioni del Fermo erano oggettivamente limitate ai soli aspetti urbanistico-edilizi (in particolare, al solo “profilo plano-volumetrico”)».
Quanto all’incremento di altezza rispetto alla quota di via Pontano, pure venne già rilevato da Fermo, «sì da avvertire la necessità di una definitiva valutazione ad opera della Soprintendenza».
Il successivo accertamento Sessa rilevava «anche una rilevante difformità conseguente ad una traslazione dell’opera, con evidente superamento del limite di tolleranza». Ma soprattutto, richiamando ancora a sostegno la vicenda penale, «in tutto questo non va dimenticato che tra l’accertamento del Fermo e quello del Sessa sono state realizzate ulteriori rilevanti opere, come confermato dal consulente del Procuratore della Repubblica, dal Gip e dal Tribunale del Riesame, tant’è che il Santaroni, dopo aver proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza resa da quest’ultimo, vi ha espressamente rinunciato». La pronuncia del Tar è inoltre illegittima quando afferma che nell’ordinanza di demolizione «non vi sarebbe alcun riferimento al “carattere eccedente le ridette SCIA e DIA delle opere realizzate”». Mentre dall’accertamento tecnico del 6 marzo 2023 emerge l’esatto contrario: «In quest’ultimo, invero, oltre a darsi atto dell’avvenuta realizzazione di opere eseguite senza titolo o in difformità o con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire n. 38/2010», veniva contestata la realizzazione del manufatto al rustico e della riserva idrica, entrambi in difformità alla SCIA del 2021 ed in assenza di autorizzazione paesaggistica.
CORRETTA LA DEMOLIZIONE “COLLETTIVA”
Altro aspetto valutato nel ricorso è che la sentenza impugnata «omette del tutto di considerare che il Comune, nell’esercitare il potere repressivo, ha, comunque, proceduto ad una valutazione unitaria delle opere realizzate dalla società ricorrente.
La giurisprudenza ha, infatti, ripetutamente affermato in proposito che la valutazione dell’abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate.
In altri termini: non è dato scomporne una parte per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni».
E nel caso della Siena «si è al cospetto di numerosi interventi abusivi privi per la maggior parte di titolo per la loro realizzazione, sicché la misura ripristinatoria adottata riguarda un unico compendio immobiliare, oltre alla circostanza che, trattandosi di opere al “servizio” del medesimo compendio, esse sono funzionalmente collegate tra loro». Di conseguenza «il complesso degli abusi realizzati, consistenti in ampliamenti volumetrici, cambi di sagoma, maggiore altezza, traslazioni, diversa sistemazione delle aree esterne, non è parcellizzabile e quindi, stante l’unitarietà dell’illecito, l’ordine non poteva che coinvolgere tutti gli interventi edilizi, rispetto ai quali grava l’ordine di ripristino “collettivo”».
Un principio confermato anche dalla Cassazione penale. Per ribadire che «nel caso di specie, la tesi della valutazione atomistica delle opere difformi non era nemmeno astrattamente praticabile, essendo le stesse – lo si ripete – riconducibili alla nozione di variazione essenziale, equivalente all’abuso totale». Stabilendo la norma che gli interventi che comportano mutamenti e modifiche «effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso». Una demolizione “complessiva” in quanto il d.P.R. 380/01 «prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totale». E in questo caso non si tiene nemmeno conto della circostanza che la demolizione pregiudica le opere conformi. Di qui «la correttezza della qualificazione, operata dal Comune, degli interventi anche in termini di variazioni essenziali, stante la vigenza del vincolo paesaggistico sull’area».
Era così grazioso quel parcheggio sterrato con quelli viti…si integrava col paesaggio…e invece hanno fatto un macello sotto tutti i gli aspetti possibili e pure quelli impossibili …parcheggio multipiano blà blà blà….il problema di Ischia è che dovrebbero sparire almeno la metà dei mezzi in circolazione altro che parcheggi e menate varie…non è la Sicilia o la Sardegna.. è uno sputo di scoglio in mezzo al mare che sarebbe dovuto restare una perla e invece è diventato una cozza…
quanti buffoni per risolvere un semplice problema, se non sbaglio stiamo al 13 anno.