Ida Trofa | Demolizione volontaria degli abusi, arriva il parere per salvare almeno la parte legittima degli immobili colpiti dal terremoto. Salvo “capa tosta dei proprietari” verrebbe voglia di scrivere, e norme specifiche della Campania. Parliamo ovviamente di taluni e specifici casi puntualizzati in un protocollo sismico ad hoc anche per il terremoto di Ischia. In ogni circostanza si aggiunge un altro tassello, un altro parere legale al difficile cammino della ricostruzione di Ischia. Più burocrazia, atti, interpretazioni che mattoni e malta. Più incarichi e consulenti che benne e gru all’opera. È questa la triste storia d’Italia.
Si tratta del parere reso dall’ufficio del Consigliere Giuridico Carpentieri nel merito della meglio nota “Autodemolizione” di manufatto abusivo. Per qualcuno una via di fuga, per molti un inutile pentimento. Insomma, una dicotomonia che permane, nonostante i nomi e le firme altisonanti ai documenti. Per comprenderne il permanere basta leggere uno dei passaggi cruciali: “non si è estesa la verifica alla legislazione regionale della Campania, che però non dovrebbe recare norme proprie ad hoc concernenti il profilo esaminato”. Non ci sembra che occorra aggiungere altro.
Il terremoto, come testimonia la necessità di fissare le questioni e inerpicarsi interpretando la norma, pone nuovamente all’attenzione degli osservatori, la questione concernente l’idoneità della demolizione dell’opera abusiva a costituire causa di non punibilità del reato edilizio. Ma non solo.
Tale effetto che i giuristi definisco “liberatorio” deve considerarsi di carattere eccezionale se rapportato ai principi generali che regolano il diritto penale sostanziale, trova ad oggi un nuovo autorevole “giudizio”. Fin qui, sostengono gli esperti, il proprio unico riferimento normativo nella l. 21 giugno 1985, n. 298 di conversione del d.l. 23 aprile 1985, n. 146.
Il problema resta il tema dei temi per le questioni sismiche, ma era già tornati di attualità con l’entrata in vigore del terzo condono edilizio (d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito l. n. 24 novembre 2003, n. 326). Anche in quella occasione il legislatore aveva recupero in parte delle disposizioni previgenti.
In ogni caso la successiva giurisprudenza di legittimità ha ribadito ed esplicitato il proprio orientamento restrittivo.
Il parere che stiamo portando all’attenzione dell’opinione pubblica per il peso specifico che lo stesso riveste ad Ischia anche per gli usi del sisma, si presta, ovviamente, ad ulteriori momenti di riflessione. Lo stesso giunge, comunque, ad intravedere, un principio generale secondo cui la demolizione del manufatto costituirebbe oggi comunque un’ipotesi di estinzione del reato o di non punibilità generale, non solo dunque in materia paesaggistica ma anche in materia edilizia.
Le due fattispecie di reato tutelino fattispecie analoghe ma non identiche, e che pertanto, come si sostiene da più parti, “non è irragionevole che il legislatore, nel caso dei reati paesaggistico – ambientali, abbia ritenuto di incentivare massimamente la rimessione in pristino rispetto al caso dell’illecito edilizio laddove invece tale esito è stato previsto come alternativo rispetto alla conservazione dell’opera coattivamente acquisita da parte del Comune”. Anche se, a ben vedere, tale conservazione presuppone pur sempre un’acquisizione quale conseguenza di una mancata demolizione spontanea da parte del trasgressore.
Insomma, questioni specifiche sulle quali si è dibattuto e si continuerà a dibattere.
Tenuto conto del principio più volte ribadito dalla Cassazione in ordine alla inidoneità della demolizione a costituire causa di non punibilità o di estinzione del reato edilizio in mancanza di una norma espressa, ci sta tutto anche un riesame del problema da parte dello stesso legislatore, considerata la accertata inidoneità delle amministrazioni comunali a gestire efficacemente il sistema delle demolizioni e tenuto conto, altresì, della scarsa attrattiva rappresentata da una estinzione dimidiata, che di per sé, sola, non incentiva quello spontaneo ripristino dei “beni paesaggistici manomessi che pure si vorrebbe sempre più spesso attuato”. La questione è perniciosa.
Ischia – procedure di condono edilizio — rimozione volontaria dell’abuso edilizio conseguenze – regime applicabile
Ecco quanto scrive il Consigliere Paolo Carpentieri nel merito del regime applicabile ad Ischia, nell’ambito delle procedure di condono edilizio e rimozione volontaria dell’abuso edilizio conseguente. Si è posta la questione di quale sia il regime giuridico applicabile nel caso di volontaria demolizione del manufatto abusivo (o, comunque, di ripristino dello stato dei luoghi con rimozione degli interventi abusivi).
“Si tratta, evidentemente, di casi nei quali sia stata presentata domanda di condono ed essa debba essere comunque portata all’esame delle autorità competenti (e nella conferenza di servizi speciale). Viene in rilievo l’art. 38 (Effetti della oblazione e della concessione in sanatoria), secondo comma della legge n. 47 del 1985, in base al quale “L’oblazione interamente corrisposta estingue i reati… nonché i procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative”. Il quarto comma aggiunge che “Concessa la sanatoria, non si applicano le sanzioni amministrative, ivi comprese le pene pecuniarie e le sovrattasse previste per le violazioni delle disposizioni in materia di imposte sui redditi relativamente ai fabbricati abusivamente eseguiti, sempre che le somme dovute a titolo di oblazione siano state corrisposte per intero”. L’art. 32 della legge n. 47 del 1985, come modificato dall’art. 32, comma 43, del decreto-legge n. 267 del 2003, ha esplicitato, nel terzo periodo del comma 1, che “Il rilascio del titolo abilitativo edilizio estingue anche il reato per la violazione del vincolo”.
Nessuna norma specifica. Illecito edilizio comunque legato al condono
Come rileva sempre Carpentieri e come sostengono da sempre i più esimi cultori della materia “Non vi sono tuttavia norme specifiche di disciplina del caso di volontaria demolizione (nè nella legge n. 47 del 1985, né nell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, né nel testo unico dell’edilizia del 2001; non si è estesa la verifica alla legislazione regionale della Campania, che però non dovrebbe recare norme proprie ad hoc concernenti il profilo qui esaminato).
Sembra, tuttavia, evidente che l’effetto estintivo degli illeciti edilizi è legato al condono (domanda, oblazione interamente corrisposta, pronuncia favorevole dell’autorità Competente). In caso di abuso, la volontaria demolizione delle opere abusive non elimina il fatto storico dell’illecito (penale e amministrativo) commesso.
Resta dunque necessaria una pronuncia di accoglimento della domanda di condono, con il pagamento della prevista oblazione (che implica il “condono” anche della sanzione amministrativa, “assorbita” nel pagamento dell ’oblazione).
Il richiamo al regime ordinario, la sanzione pecuniaria e la mancata rimozione dell’abuso
“Giova peraltro evidenziare che, a partire dal 2014, nel sistema “regime ordinario“ di cui all’articolo 31 del D.P.R. Numero 380 del 2001 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, la sanzione pecuniaria è legata alla mancata rimozione volontaria dell’abuso e quindi non è prevista nel caso in cui la parte ottemperi volontariamente all’ingiunzione di demolizione, se nei termini indicati nell’ingiunzione di demolizione (comma quattro bis, inserito dall’articolo 17 del decreto legge numero 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n.164 del 2014: “ 4 -bis- sottolinea Carpentieri – L’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra i 2000 € e 20.000 €, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste dalla norma vigente“). Si ritiene infatti in giurisprudenza (Tar Campania, Napoli, sezione terza, 6 settembre 2021, numero.5712) che la sanzione pecuniaria sia finalizzata al finanziamento delle spese di demolizione d’ufficio (come si evince dal comma quattro-ter dell’articolo. 31 del d.p.r. numero 280 del 2001: “34 Ter. I proventi delle sanzioni di cui al comma 4-bis spettano al comune e sono destinati esclusivamente alla demolizione e rimessione in pristino delle opere abusive e all’acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico”), sia condizionata alla mancata demolizione volontaria”.
La rimozione dell’abuso facilitatore della concessione del condono
Il consigliere giuridico riporta i temi in punta di richiami normativi: “Oltre all’evidente facilitazione nel conseguimento della sanatoria (con effetti estintivi sopra detti degli illeciti penali amministrative comunque commessi), facilitazioni consistente nella sostanziale doverosità della concessione del condono a fronte della rimozione degli effetti dell’abuso, l’unico vantaggio ulteriore che deriva, sul piano pecuniario, dalla volontaria demolizione consistente nell’esclusione del pagamento del contributo di costruzione (commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione; art. 37 della legge n. 47 del 1985: “Il versamento dell’oblazione non esime i soggetti di cui all’art. 31, primo e terzo comma, dalla corresponsione al comune, ai fini del rilascio della concessione, del contributo previsto dall’art. 3 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, ove dovuto”). La rimozione del manufatto abusivo fa infatti venir meno la causa di tale pagamento, che risulterebbe, diversamente opinando, indebito”.
La Soprintendenza resta
“Riguardo al procedimento di sanatoria, deve sottolinearsi che l’intervenuta demolizione del manufatto abusivo con ripristino dello stato dei luoghi non implica in sé l’esclusione del parere della Soprintendenza- Carpentieri pare convinto e riporta i dati della legge che inocula le sue convinzioni – ai sensi dell’art, 32 della legge n. 47 del 1985, spettando anche a tale organo la verifica e la valutazione in ordine alla effettiva, completa rimozione degli effetti dell’abuso e restando comunque necessaria l’acquisizione del predetto parere ai fini del rilascio della sanatoria ( che resta come detto ,necessaria, quanto meno e senz’altro per l’estinzione del reato edilizio pur sempre commesso, benché volontariamente rimediato con “ravvedimento operoso” nei suoi effetti pregiudizievoli per valori urbanistico-edilizi e paesaggistici lesi).
Può peraltro senz’altro affermarsi che, salvo i casi di evidente non veridicità dell’attestazione di intervenuta rimozione degli effetti dell’abuso, il parere favorevole della Soprintendenza debba considerarsi sostanzialmente dovuto e vincolato. Risulterebbe chiaramente illegittimo per carenza di presupposti un eventuale parere negativo, pur a fronte dell’intervenuta rimozione degli effetti pregiudizievoli dell’abuso commesso”.
Autodemolizioni e diritto a rinunciare alla domanda di condono
Come specifica e puntualizza Carpentieri per dare completezza di esame della problematica secondo la sua prospettiva “deve infine evidenziarsi che la parte che ha volontariamente rimosso l’abuso edilizio conserva sempre il diritto di rinunciare alla domanda di condono ove – per qualsiasi motivo- non abbia più interesse alla sua definizione. A fronte dell’avvenuta rimozione desti effetti dell’abuso e del pieno ripristino dello stato dei luoghi, invero, non residua più alcun interesse pubblico alla decisione della domanda di condono, fermo restando che, in tal caso, la parte accetta le conseguenze penali dell’illecito commesso, mentre, nel caso in cui abuso sia stato autodenunciato e non accertato, né sanzionato con ingiunzione di demolizione, non vi sarebbe neppure materia per l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie (a fronte dell’intera rimozione degli effetti dell’abuso stesso). Naturalmente, in una siffatta evenienza, è indispensabile acquisire un atto di formale rinuncia della parte richiedente il condono”.
La rinuncia, la conferenza speciale e la ricostruzione
“Agli effetti della proseguibilità della procedura, in sede di conferenza speciale, occorrerà accertare debitamente l’intervenuta, effettiva rimozione dell’abuso, non essendo ammissibile procedere all’esame del progetto di ricostruzione e alla concessione del contributo sulla base di una mera dichiarazione d’intenti o di un impegno futuro della parte (e ciò anche per evitare il rischio che i costi della demolizione dell’abuso possano gravare in qualche modo sul contributo pubblico)”.
Così il giurista chiude il suo autorevole parere in favore del commissario per la ricostruzione Giovanni Legnini. Un parere destinato far dibattere e certamente ad aprire l’ennesimo tavolo di studio e di confronto. L’ultima conference week in salsa ischitana.