Ida Trofa | La vita è una cosa troppo seria perché si possa parlarne sul serio” come diceva Oscar Wilde. Lo è anche se si tratta di terremoto, di case, imprese, affetti, di un borgo che ci è stato portato via dalle sciagure e dalla inettitudine umana riunita sotto la tabella del potere. Il terremoto di Ischia, parimenti, è troppo serio perché qualcuno lo affronti sul serio. È cambiato tutto. Sta cambiando tutto. Un attimo dopo l’altro. Il terremoto prima, il coronavirus ha delimitato il nostro tempo e lo spazio e sta cambiando anche i sentimenti, i legami.
Il sisma di Ischia ha stretti confini e larghi interessi. Con il suo essere non già dramma o evento catastrofico i cui effetti bisogna risolvere, nel pieno stile italico si è trasformato nl un progetto di business. Un progetto che non ha confini, né conosce legami, anzi, forse li distrugge.
Non c’è stato istante in questi anni in cui i terremotati, chi ad esempio viveva tra i Majo e La Rita al Purgatorio si sia sentito violentato. Da chi non ha capito il problema, da chi lo ha capito e e se ne frega. E noi, confinati dentro, seguiamo una chimera: la ricostruzione. Una parola che non ha sostanza ma che per chi ha davvero perso tutto, vorrebbe solo dire casa, comunità, ritorno ai propri luoghi. “Sarà un borgo fantasma!” mi disse cinque anni fa un alto funzionario del terremoto. Ancora speranzosa, confidano nelle istruzioni e nella voglia di fare, contestai quella dichiarazione tranciante. Sfidando quelle parole e quell’uomo. Con quel funzionario feci una scommessa e gli giurai che sarei tornata a casa. Ad oggi amaramente devo scrivere che quell’uomo aveva ragione, lui ne sapeva di più di catastrofi ed emergenze in Italia. Lui ne aveva contezza. Ogni 21 agosto da un quinquennio, ormai, riaviamo la stessa pantomima, la inseguiamo perché questa sceneggiata, ripercorrendo la polvere e le macerie dei crolli (pochi) fa spettacolo, fa crescere l’audience e la paura. E la paura fa spettacolo, fa crescere il gradimento e l’audience a 360 gradi. E tutto questo bombardamento forse fa vacillare anche tutte le nostre vecchie e solide certezze. La vera sfida, prima, come adesso, penso sia quella di tenere. Tenere ciò che davvero vale la pena, scartando via il resto.
Per Marilena, Lina e per chi è morto con il terremoto
Ingiustizie e sperequazioni, distinzioni tra macerie e macerie, tra terremotati e terremotati. Abbiamo raccontato, ma non abbiamo raccontato ancora tutto. Le passerelle di capi di stato con la “s” minuscola, uomini di chiesa e ministri. Tutti minuscoli al cospetto di un grande dramma. Dal cratere più piccolo d’Italia si è assistiti, ad oggi, al passaggio di tre commissari, l’arrivo del capo staff che gratificherà l’ego istituzionale della Regione Campania rimettendo in pari gli equilibri della bassa politica italiana. Abbiamo visto annunciare un piano della ricostruzione che forse, oggi c’è. Tutto giunge come sempre in tempo utile, anche senza la consueta pagliacciata commemorativa.
Nulla di che, quest’anno senza nessuno che possa mettersi in mostra, ci sarà solo una Messa nella Parrocchia del Parroco Morgera il simbolo di Casamicciola Terme. Riaperta grazie ai soldi dello Stato di Emergenza e all’impegno di pochi. Nulla di eccezionale, eppure, loro, i nostri rappresentanti sismici si riuniranno li, fingendo trasporto e dolore per il dramma altrui. Restiamo solo un puntino, un paragrafo tra le pieghe di un libro più ampio e desolante dei terremoti. Oggi più che mai soli, inascoltati. Senza voce né certezza del diritto. Oggi ogni pensiero va a chi non c’è più anche per colpa del terremoto, a Elena Zani e a sua madre Marilena Romanini, va a Lina Balestrieri e a tutta la sua famiglia. Loro sì che hanno perso tutto, hanno perso la vita, l’amore e l’affetto di donne uniche, di madri, mogli, nonne che non potranno riabbracciare più dopo quel maledetto 21 agosto. Da quel giorno, ogni volta che è stato necessario, abbiamo raccontato di uomini e donne, di persone impegnate seriamente, di sciacalli, di chi voleva solo macinare incarichi grazie a raccomandazioni e spintarelle politiche, liti per gli incarichi e le prebende, discussioni accese e manovre per accaparrarsi l’ultimo CAS o l’ultimo timbro per sanare ogni millimetro di abuso. In tutto questo, mentre tutto intorno era incurante, tante persone sono state lasciate morire senza potere assaporare il sogno del ritorno ai propri luoghi. Erano gli uomini e le donne che avevano costruito questi borghi usati e stuprati in nome di singoli interessi e delle affermazioni personali. Raccontare era e resta il nostro compito. Anche se a volte fa paura.