Siamo con Silvano Arcamone e Mario Mirabile, nel giardino accogliente di Cala degli Aragonesi per parlare del libro “South Working” di cui sono autori. Il libro per vivere la “rivoluzione” del lavoro lontano. Non chiamatelo solo smart working, c’è molto di più. C’è territorio, identità, comunità, sviluppo, futuro, domani e anche un po’ di passato. Uno strumento dinamico per provare a spiegare che al Sud si lavora e si lavora bene.
– Immagino che questo libro serva anche a superare il preconcetto che vede il Sud come una terra in cui si preferisce il reddito di cittadinanza al lavoro. Un modo per sfatare il mito sbagliato di questo odioso immaginario collettivo.
Mario Mirabile: «Si, non solo è il superamento del preconcetto, ma anche una risposta innovativa a quella che è stata la pandemia, che ha posto l’intero Paese, ma anche il mondo, di fronte a sfide epocali. Quello che South Working vuol fare non è soltanto dare la possibilità di lavorare dal Sud, in quelle che sono le aree marginalizzate del nostro territorio, ma anche riportare e dare la possibilità alle persone di scegliere di tornare al loro territorio di origine, contribuendo alla crescita di quel territorio».
– Silvano Arcamone ne è proprio l’esempio…
«Io sono un southworker a tutti gli effetti ed è una condizione che ci è consentita da uno strumento che abbiamo scoperto in questo periodo di pandemia: il cosiddetto smart working. E come tutti gli strumenti, dalla scoperta della leva alla scoperta del fuoco, della ruota, sono proprio quegli strumenti che fanno andare avanti i processi civili delle popolazioni. Allo strumento, però, va abbinata a una visione. Faccio un esempio: quando fu scoperta l’elettricità nell’industria, per completare il passaggio dall’energia a vapore all’energia elettrica sono trascorsi decenni, perché c’era bisogno poi di poter capire la potenzialità di quello strumento e di quella innovazione. Oggi è quello che fa South Working, ovvero cercare di stimolare, attraverso il libro, e di illustrare le potenzialità di questo nuovo strumento, cioè lo strumento che ci consente di lavorare a distanza e che ci può consentire di rompere quel binomio lavoro-casa. Oggi si può decidere di lavorare per un’azienda che è al Nord, che è nel Centro Italia e continuare a vivere in un’area interna, in un’isola come Ischia».
SFIDE PROFESSIONALI
– Parto da Silvano e poi magari approfondiamo con Mario. Sentiamo sempre più spesso la frase “sto in call”. Abbiamo fatto esperienza con strumenti web di connessione, eppure c’è la necessità di dover superare quel gap che mi sembra che sia un po’ più complicato. Quello degli uomini del Sud di dover dimostrare di valere. Come se il “provenire da” sia una zavorra…
Silvano Arcamone: «Io penso che la necessità di misurarsi al di là della propria realtà è la necessità di misurarsi con se stessi, perché nel proprio contesto, in qualche modo noi abbiamo degli elementi di misurazione della propria professionalità, della propria persona, che sono limitati a quel contesto. Andare in realtà più ampie, in metropoli e confrontarsi con diverse esperienze e persone o, addirittura, in alcuni contesti, se pensiamo a città internazionali come Milano, da tutta Europa, da tutto il mondo, allora lì lo strumento di misura diventa reale, cioè ti fa realmente apprezzare e capire quali sono le tue potenzialità e quali sono anche i tuoi limiti e quali sono le strade per poterti migliorare. Non stiamo dicendo certamente di abbandonare le città e andare a vivere nei borghi, non è questa la soluzione. Vivere, poter continuare a vivere e conservare un capitale umano e capitale sociale all’interno, diciamo dei borghi, ma quando parliamo di borghi parliamo di aree interne, in generale parliamo anche di realtà come Ischia. Quindi come continuare a vivere in quelle realtà, magari dando il proprio contributo culturale e sociale a quelle realtà, ma misurarsi, crescere in realtà più sfidanti, come possono essere quelle metropolitane».
ADEGUARE LE INFRASTRUTTURE
– Mario, però capita che queste realtà secondarie poi soffrano di gap tecnologici. Mi capita spesso di avere colloqui con professionisti da tutto il mondo e alcune volte ci si deve confrontare con l’assenza di infrastrutture. Ci si ferma perché la connessione non va. Perché la fibra non serve ancora quella zona o perché quella tecnologia non c’ancora in quella infrastruttura. E’ facile dirci torniamo nelle isole e stiamo lontano, siamo nei luoghi belli dove magari la bellezza ci aiuta a lavorare meglio. Però, poi, ecco, ci manca il collegamento…
Mario Mirabile: «Assolutamente. Per fare South Working ci vogliono tre infrastrutture principali che sono proprio l’infrastruttura tecnologico digitale, che è la fibra principalmente a una connessione molto rapida e ovviamente anche sicura. Ci vuole un’infrastruttura sociale, quindi spazi per lavorare in maniera condivisa che noi chiamiamo presidi comunità. Quindi il lavoro fuori casa, non dentro casa, in maniera isolata. E ovviamente c’è anche bisogno di infrastrutture di mobilità. Questa possibilità noi l’abbiamo misurata in questi termini, di arrivare presso un polo strategico di mobilità, un aeroporto, una stazione di alta velocità entro due ore dal luogo da cui si parte, che generalmente misuriamo dal presidio. Sono tre infrastrutture che evidentemente mettono alla prova in qualche modo il nostro territorio che è fatto di tantissimi territori interni, marginali, lontani, remoti. Però questa sfida deve essere proprio colta per la sostenibilità futura del nostro Paese. Non dobbiamo ovviamente lasciare indietro nessuno, non dobbiamo lasciare indietro nessun territorio. La sfida tecnologica è importante. Lo posso dire a gran voce: ci sono degli importantissimi player in Italia che stanno puntando all’infrastrutturazione proprio di questi luoghi. Quindi partiamo proprio dai luoghi più lontani e soprattutto l’Italia non è indietro rispetto a questo punto di vista. Rispetto ad altri Paesi, come anche l’Inghilterra, che ha infrastrutture abbastanza vecchie. Sono arrivati prima e adesso hanno difficoltà a cambiare le loro infrastrutture».
COME E’ CAMBIATO IL MONDO DEL LAVORO
– Altra domanda con l’occhio rivolto al Sud. Lo smart working per il privato è stata sicuramente un’esperienza positiva. Per il pubblico forse non è diventata quella esperienza che tutti ci aspettavamo, sia perché il cittadino non è abituato ad interfacciarsi, sia perché non ci sono proprio le infrastrutture. Come si supera l’idea che lo “smart working” significhi stare in vacanza e non lavorare?
Mario Mirabile: «Sicuramente direi partendo da un cambiamento di carattere culturale nel comprendere come il mondo del lavoro attuale non risponde più a dei criteri fordisti, non risponde più all’immaginario della fabbrica centrale e i lavoratori e le lavoratrici che si recano ovviamente sul posto di lavoro in fabbrica per lavorare. Ormai la digitalizzazione ci pone delle sfide, ma ci pone anche delle grandi opportunità, come è proprio quella del lavoro da remoto, quindi sicuramente bisogna fare dei cambiamenti importanti. Anche la Pubblica Amministrazione, in termini di organizzazione. Ma gli esempi sono tanti, come ci raccontava poco fa Silvano. Come anche sto notando dai grandi appuntamenti che abbiamo realizzato da poco sul tema della Pubblica Amministrazione. Dunque gli esempi sono numerosi e rappresentano sicuramente degli studi da poter portare all’attenzione anche delle Istituzioni».
L’ESPERIENZA DELLA PANDEMIA
– Abbiamo proprio un esperto di Pubbliche Amministrazioni. Silvano, sei partito dal piccolo Comune di Casamicciola Terme, dove ci troviamo, per arrivare alla direzione dell’Agenzia del Demanio. Una crescita esponenziale…
«A tal proposito per rispondere alla tua domanda legittima, che poi è una domanda che viene fuori da una percezione che c’è da parte della popolazione a cui va data una scossa o quantomeno un’informazione, è chiaro che se noi iniziamo a immaginare il lavoro attraverso lo smart working, non possiamo immaginare quel lavoro con la vecchia visione. Lo smart working prevede la possibilità di lavorare da remoto, ma con degli obiettivi chiari, fissi, misurabili e verificabili. Per cui ti posso dire che per esperienza noi nel 2020, quando siamo stati praticamente travolti dalla pandemia e siamo andati avanti con lo smart working, avevamo tutto in cloud e giustamente, con presenza di lavoro in remoto, eravamo praticamente tutti connessi e siamo riusciti a migliorare comunque la nostra prestazione e quindi i nostri obiettivi. E ti posso dire che dei provvedimenti che il governo ha posto in essere erano praticamente dilatori. Si allungavano i tempi di gare, si allungavano i tempi di pubblicazione, si allungavano i tempi di risposta ai cittadini e così ci mettevano in difficoltà perché noi avevamo l’infrastruttura per poter lavorare tutto in cloud, e quindi tutti a casa avendo l’accesso a tutti i fascicoli regolarmente e soprattutto poi lavoravamo per obiettivi. Per noi pubblicare una gara, per dire, era un obiettivo che dovevamo conseguire; oppure chiudere la gara e fare un contratto con un operatore economico. E nel momento in cui invece il governo in quella circostanza ci allungava i tempi di gara, ci creava problemi. Nonostante ciò, siamo riusciti a raggiungere gli obiettivi. Questo per dire cosa? Per dire che è necessario, come diceva Mario, superare la visione fordista di una concezione di lavoro che non è più rispondente chiaramente ai nostri tempi. Oggi si paga uno stipendio comprando il tempo del dipendente. Tu hai un tesserino, entri in azienda, stai le ore a settimana e io ti conferisco lo stipendio. Questa logica qui è una logica superata. Oggi noi dobbiamo lavorare per obiettivi e lavorare per obiettivi significa anche saper lavorare per obiettivi, quindi darsi dei principi di project management. Che evidentemente l’Amministrazione non ha. Però è il caso pure che si faccia un passo in avanti da questo punto di vista, tutti a tutti i livelli; quindi a livello statale, ma anche a livello di Eenti locali».
INNOVAZIONE SOCIALE E CULTURALE
– Vediamo se siete davvero moderni. Cinque motivi per comprare il libro. In modalità tiktokker?
«1. Sicuramente offriamo una prospettiva interessante sulla sostenibilità e sul futuro sostenibile del lavoro agile.
2. E’ un libro che parla di innovazione sociale e di innovazione culturale. E’ un libro che ci fa pensare anche cose che non abbiamo detto e quindi ci fa andare oltre quello che c’è scritto.
3. E’ un libro che parla di comunità, quindi parla di noi, parla di coloro che effettivamente poi stanno sul territorio e quindi racconta anche delle storie di quello che sono effettivamente i territori oggi in Italia; e sono territori innovativi, anche se territori interni.
4. Un libro che ci parla degli spazi che viviamo e ci dà dei messaggi su come poter vivere al meglio questi spazi e su come questi spazi si stanno evolvendo e stanno andando incontro a quelle che sono realmente le nostre esigenze. Le esigenze sono mutate. Vuoi per la pandemia, ma sono mutate anche per un dato di fatto. Viviamo un’epoca di trasformazioni così forte, così travolgente, per cui anche gli spazi nei quali viviamo devono andare verso il benessere, verso la sostenibilità, verso la domotica e quindi è un libro che da questo punto di vista ci fa capire anche in che modo potremmo riconfigurare i nostri spazi.
5. Direi che è un libro che parla anche di criticità e quindi ci indica anche le cose che devono essere migliorate nel nostro paese. E quindi qual è il futuro e le sfide che ci attendono».
– Dove lo possiamo acquistare?
«Il libro si può acquistare in tutte le librerie dei principali circuiti Feltrinelli, Mondatori e lo trovate anche nelle librerie indipendenti e outlet. Lo trovate, ovviamente sia sul nostro sito, sul sito di donzellidonzelli.it e anche sui principali circuiti online Amazon».