Andrea Esposito | Sono quattro i feriti gravi nel bilancio del tamponamento sull’A4, tra una corriera che trasportava una cinquantina di profughi ucraini di ritorno in patria e un mezzo pesante con targa polacca. L’impatto poco dopo le 19.30 (venerdì 25 agosto), a Latisana in direzione Trieste. Una donna con gravi traumi agli arti inferiori, due minori di 10 anni in serie condizioni, sono stati portati in eliambulanza agli ospedali di Udine e Trieste. 10 le persone in codice verde, una in codice giallo. Sull’asfalto, i resti delle poche povere cose che accompagnavano il ritorno a casa dei profughi di guerra: documenti, cuscini, frutta, medicine, caramelle per i bambini. Erano per lo più famiglie ucraine provenienti da Roma e Napoli.
È stato un vero inferno, le squadre di paramedici e vigili del fuoco che hanno operato per liberare le persone dalle lamiere sono ancora sotto choc, non hanno mai visto nulla di simile. Tra i passeggeri gravemente feriti, anche una ischitana d’adozione coinvolta in questo drammatico scontro frontale tra il tir polacco e il pullman ucraino. La storia di SVITLANA ci commuove davvero nel profondo e ci fa maledire ancora una volta e con più forza l’atroce invasione russa dell’Ucraina. Sveta tornava a casa, a Kiev, insieme agli altri profughi di guerra e lavoratori qui in Italia. Ma ad attenderla nella Madrepatria non c’erano solo i familiari come per tutti gli altri, ma anche i ricordi drammatici di un anno passato in un bunker, in attesa del marito – militare di carriera, al fronte dall’inizio del conflitto.
Svitlana era a bordo del pullman con uno dei due figli minori. La comunità ucraina isolana, alla quale era ormai molto legata, credeva che andasse semplicemente a Kiev per incontrare il marito in licenza dal fronte: la giovane madre e moglie – come è stato detto di fare a tutti i familiari delle forze armate per motivi di sicurezza – era molto restia a parlare dei particolari della vita del marito. Solo dopo l’incidente, gli amici di Ischia avrebbero scoperto che il marito era in realtà anche lui ricoverato in ospedale, e non in licenza, perché ferito al fronte fortunatamente in maniera non grave. Svitlana è una delle prime profughe giunte sulla nostra isola dall’Ucraina: le attiviste del gruppo ischitano ci raccontano di una ragazza dolcissima, molto intelligente, eppure giunta sull’isola totalmente stremata, svuotata, molti mesi fa, dopo un anno praticamente sottoterra, nascosta nel bunker insieme ai due figli, per salvarsi dai bombardamenti russi.
Molte giovani attiviste, madri mogli e lavoratrici ucraine sull’isola, si ricordano di lei il primo giorno che è arrivata a Ischia: era distrutta – ci raccontano – a causa del lungo viaggio, di tutta la strada fatta, così stravolta che non ricordava addirittura il volto di alcune amiche, già qui sull’isola, che la andarono ad accogliere all’arrivo. “Ci stiamo organizzando, naturalmente, per andarla a prendere a Udine e riportarla qui da noi, al sicuro, sull’isola” ci raccontano. È molto bella Svitlana, il suo viso dolcissimo comunica indubbiamente una lunga sofferenza per quanto adesso sia velata da una ritrovata – seppur in parte – serenità qui sull’isola, dove può di nuovo dormire serenamente con i suoi bambini. Tutto questo almeno fino alla serata terribile di fine agosto nella quale ha rischiato la vita su una delle nostre autostrade. Destino assurdo, atroce, quando il diavolo davvero ci mette la coda: sopravvivere ai bombardamenti russi su Kyiv e rischiare di morire qui in Italia in un incidente stradale.
A Ischia la attende l’altro figlio, anch’egli minorenne, rimasto con una zia – la stessa zia che è stata il suo contatto in Italia durante il primo anno di guerra e che non ha esitato ad ospitarla quando si è riusciti a tirarla fuori dal conflitto in corso. Adesso Sveta è in ospedale a Udine: una gamba rotta, il bel visto scheggiato, nell’impatto ha naturalmente smarrito tutti i documenti, gli ucraini di Ischia si sono attivati subito per recuperarli. Si scontrano anche contro il relativo muro del silenzio della stessa giovane madre e moglie: tutti i familiari dei militari ucraini hanno per ovvi motivi la consegna del silenzio, non parlano dei loro mariti combattenti, non raccontano le loro gesta, meno che mai dove sono stati in battaglia, in quale zona del fronte, con quali incarichi. Solo davanti all’impossibilità di raggiungere l’amore della sua vita. Pian piano il muro dell’obbligato silenzio si scioglie, Sveta ha legato tantissimo con le altre madri e mogli ucraine dell’isola d’Ischia, e soprattutto con le altre profughe di guerra che abitano adesso qui. È presente ad ogni evento organizzato dal gruppo, dalla Chiesa, dalla comunità che si stringe intorno a Padre Roman. A questa donna straordinaria, coraggiosa madre e moglie, fiera patriota, non può che andare il nostro augurio di pronta guarigione e di una vita finalmente serena.