mercoledì, Dicembre 25, 2024

Terremoto e ricostruzione. La Cassazione «salva» l’Articolo 25

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La Suprema Corte nel rigettare il ricorso di un furbetto ammette la validità della norma scritta dall’avv. Bruno Molinaro: “si applica esclusivamente, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, alle «istanze di condono relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017»

Gaetano Di Meglio | Abbiamo titolato forte. E’ vero, ma in questo grande dibattito del terremoto, che sembra essere diventato di serie b, rispetto all’emergenza del Coronavirus, il famoso articolo 25 resta ancora il motivo dello scandalo. La pietra della vergogna.
Stravolto dalla Lega per mere questioni politiche, il famoso articolo “Molinaro”, ad oggi, necessita solo la cancellazione di quella parte in cui ci viene scippato il contributo per la ricostruzione delle porzioni di edificio danneggiato dal terremoto e oggetto di condono.
E questa sentenza della Cassazione, depositata pochi giorni fa, è la prova che tutte le accuse che abbiamo ricevuto sono demagogiche e strumentalmente politiche.
E, da questa sentenza, passata questa emergenza si può continuare la battaglia per far cancellare la vergogna delle Lega che ci ha scippato i contribute e chiedere parità di trattamento con i gli altri terremotati italiani che, non si capisce perché, hanno ricevuto un trattamento diverso dal nostro.

E questa volta, la prova che abbiamo è forte e solida. Lo afferma la Corte di Cassazione e lo afferma in un ricorso che viene rigettato. O meglio, per bocciare il ricorso, la Corte di Cassazione usa proprio l’articolo 25. Nella sentenza depositata pochi giorni fa e che riguarda Lacco Ameno, basta sapere questo, la Corte sottolinea come e quanto sia “Manifestamente infondato è poi il motivo nella parte in cui invoca l’applicazione dell’art. 25 del d.l. 109/2018, convertito con modificazioni dalla legge L. 16 novembre 2018, n. 130 poiché tale norma si applica esclusivamente, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, alle «istanze di condono relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017»: nulla su tali danni risulta allegato dal ricorrente».

Quale migliore sentenza aspettiamo. Ci spiace per il ricorrente che sperava di fare il furbetto e usare l’articolo 25 per scansarzi la demolizione ma, come si dice, la legge è legge! Ora possiamo dirlo a tutti, la Cassazione ritiene vigente l’articolo 25 e che lo stesso trova applicazione SOLO per gli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017.

Una sentenza da sbattere in faccia a quanti ci hanno preso in giro e a quanti hanno associato la parola abusivismo alla parola Ischia. Ora resta da combattere per togliere il terzo comma, quello che ci ha tolto i contributi. Se l’articolo 25 vale solo per i danni da terremoto, allora trattateci come tutti gli altri.

Se questo è l’aspetto politico e sociale della vicenda, abbiamo chiesto al “papà” di questa norma, l’avvocato Bruno Molinaro, di commentarci il senso della sentenza della Cassazione. La Cassazione non ha dubbi: nessuno può fare il furbetto con l’articolo 25..
La sentenza non mi sorprende. La Corte ha ribadito la vigenza dell’articolo 25 e chiarito, altresì, che il meccanismo introdotto dal legislatore per favorire la “ricostruzione” trova applicazione solo per i fabbricati distrutti o danneggiati dal terremoto. L’articolo 25 del decreto prevede, infatti, espressamente che vengano definite le istanze pendenti relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017, presentate ai sensi delle tre normative di condono succedutesi dal 1985 al 2003 (legge n. 47 del 1985 [Craxi-Nicolazzi], legge n. 724 del 1994 [primo Governo Berlusconi] e legge n. 326 del 2003 [secondo Governo Berlusconi]).

Per la definizione di tali istanze, la norma precisa, tuttavia, che “trovano esclusiva applicazione le disposizioni di cui ai Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47”.
Il provvedimento prevede, altresì, che la conclusione dei procedimenti avvenga entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.
Per mettere a tacere coloro che avevano accusato il Governo di aver varato un condono tombale, è stato, poi, approvato, nell’iter di conversione, anche un emendamento che, come si ricorderà, prevede l’obbligo, ai fini della definizione delle istanze di condono, di acquisire il preventivo parere favorevole da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico. Questo, in estrema sintesi, il contenuto dell’articolo 25 in ordine agli aspetti relativi alla “condonabilità”.

Impossibile, però, non ricordare la polemica, a tratti anche feroce, che ci ha visto protagonista per lungo tempo sui media nazionali
Sì … certo! Qualcuno, come l’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha addirittura sostenuto che l’articolo 25 consente di definire positivamente le oltre 27.000 richieste di condono edilizio presentate dagli abitanti di Ischia (secondo il dossier Mare Monstrum 2016 di Legambiente). Niente di più infondato, come confermato ora anche dalla Cassazione.
La norma è riferita – lo si ripete – ai soli “immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017”, né potrebbe essere diversamente tenuto conto delle circoscritte finalità del provvedimento, adottato al solo scopo di far fronte alla situazione emergenziale in atto, la quale presuppone, nei comuni del cratere, la definizione delle domande di condono pendenti: ciò perché qualsiasi ipotesi di ricostruzione in sito o di delocalizzazione del patrimonio edilizio esistente presuppone la legittimità o la regolarizzazione postuma dello stesso.
La disposizione in esame, pertanto, non vale non soltanto per le altre domande di condono presentate per le costruzioni od opere eseguite senza titolo negli altri comuni dell’isola, ma anche per quelle relative a costruzioni realizzate all’interno dello stesso cratere dei comuni interessati (Casamicciola Terme, Lacco Ameno e Forio) che non siano state distrutte o danneggiate in conseguenza dell’evento tellurico.

Andiamo al “segreto” dell’articolo 25. Quali sono le vere ragioni della equiparazione del terzo condono al primo?
R. Un focus sui dati reali forniti dagli uffici tecnici dei tre comuni interessati sugli immobili distrutti o danneggiati dall’evento sismico e soprattutto sulla normativa di riferimento e sul numero delle istanze di condono presentate aiuta – senz’altro – ad inquadrare meglio il problema e a comprendere le vere ragioni che hanno indotto il legislatore a “saldare” il terzo condono al primo.
Nel solo comune di Casamicciola Terme, il più colpito, sono 5 gli edifici crollati e realizzati in epoca antecedente al 1942 (dunque legittimi ab origine anche perché il vincolo paesaggistico sull’intero territorio comunale è stato imposto solo nel 1958, come per ogni altro comune dell’isola, fatta eccezione per quello di Ischia assoggettato a vincolo nel 1952).
Gli immobili con esito E-EF, cioè totalmente inagibili, sono 560.
Gli immobili con esito B-BF, cioè inagibili ma con danni lievi, sono 200.
Gli immobili con esito C-CF, cioè parzialmente inagibili, sono 35.
In totale gli immobili danneggiati sono 795, in parte legittimi sin dall’origine e in parte interessati da più istanze di condono.
Quelle presentate ai sensi della legge n. 47/85 sono 141.
Quelle presentate ai sensi della legge n. 724/94 sono 109.
Quelle presentate ai sensi della legge n. 326/03 sono appena 107, di cui 24 riferite a nuove costruzioni e 41 ad ampliamenti.
Nel comune di Lacco Ameno, invece, gli immobili danneggiati sono 270.
Di questi, 122 sono interessati da domande di condono pendenti, di cui 81 ai sensi della legge n. 47 del 1985, 51 ai sensi della legge n. 724 del 1994 e 14 ai sensi della legge n. 326 del 2003.
Anche qui gli immobili danneggiati sono interessati da più istanze di condono (18 da primo e secondo, 2 da primo e terzo, 1 da secondo e terzo e 3 da tutti e tre).
Infine, nel comune di Forio, meno colpito rispetto ai primi due, gli immobili danneggiati di proprietà privata sono 63, nel mentre quelli pubblici sono 19.
Quelli interessati da domande di condono ai sensi della legge n. 47/85 ed inagibili, in tutto o in parte, sono 11.
Quelli oggetto di domande di condono ai sensi della legge n. 724/94 sono 41 e quelli oggetto di domande di condono ai sensi della legge n. 326/03 sono soltanto 4.
Anche a Forio la maggior parte degli edifici privati è interessata da più domande di condono riferite a normative diverse.
É evidente che tale singolare situazione, caratterizzata da confusione di domande di condono e da regole diverse per il loro esame sia in ordine alle condizioni di accoglibilità che ai procedimenti da osservare, avrebbe reso impossibile o quantomeno molto improbabile qualsiasi tentativo di ricostruzione o delocalizzazione.
E tanto anche alla luce della inequivoca definizione data al termine “edificio” dall’All.to 1 al D.P.C.M. del 5 maggio 2011, secondo cui per “edificio” deve intendersi, appunto, “una unità strutturale cielo terra individuabile per caratteristiche tipologiche e quindi distinguibile dagli edifici adiacenti per tali caratteristiche e anche per differenza di altezza e/o età di costruzione e/o piani sfalsati (…)”.
Ciò senza considerare che la coesistenza in un solo immobile di diverse parti assoggettate, in mancanza dell’art. 25, a regimi diversi, avrebbe anche innescato inevitabili contenziosi, dal momento che la giurisprudenza amministrativa ha precisato che la realizzazione di opere in ampliamento, in mancanza di una espressa norma di divieto, non può da sola giustificare il diniego del condono, occorrendo verificare se esse abbiano inciso in modo radicale sui beni oggetto di domanda, così impedendo all’amministrazione di effettuare la propria valutazione (Cons. Stato, Sez. VI, 14 agosto 2015, n. 3943).

Vogliamo anche spiegare perchè era così necessario rinviare proprio alla legge n. 47/85?
É presto detto!
Per gli immobili realizzati in zona vincolata il condono 2003 si atteggia ad un accertamento di conformità, non essendo ammissibile la sanatoria di opere contrastanti con le norme urbanistiche e le prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Più specificamente, si è ritenuto in giurisprudenza (cfr., fra le tante, T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 14 ottobre 2011, 1439, e 10 dicembre 2009, n. 8608) che “l’art. 32, comma 27, lett. d), del d.l. n. 269 del 2003 è previsione normativa che esclude dalla sanatoria le opere abusive realizzate su aree caratterizzate da determinate tipologie di vincoli con la novità sostanziale costituita dall’inserimento, in tale previsione, del requisito della conformità urbanistica all’interno della fattispecie del condono edilizio, che dà vita ad un meccanismo di sanatoria che si avvicina fortemente all’istituto dell’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, piuttosto che ai meccanismi previsti dalle due precedenti leggi sul condono edilizio”.
Così facendo, però, il legislatore ha ristretto fortemente l’area di condonabilità e tale scelta, in astratto, può anche starci, trovando giustificazione nella esigenza di modulare al ribasso l’ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantità degli abusi sanabili.
Tuttavia, a conti fatti, si è trattato di una scelta scellerata in quanto lo Stato ha incamerato milioni di euro a titolo di oblazione ma la legge è rimasta sostanzialmente inapplicata.
Ciò perché molti comuni, soprattutto al sud (ed anche ad Ischia), sono sprovvisti di strumentazione urbanistica, sicché manca il parametro “tipico” per la valutazione richiesta, che è cosa ben diversa dalla normativa applicabile in via residuale.
Laddove, invece, i comuni siano dotati di piani regolatori, questi sono obsoleti ed inadeguati e, per di più, in contrasto con le prescrizioni del piano paesistico che, nella gerarchia delle fonti, si atteggia a strumento sovraordinato rispetto ad essi.
Recita, infatti, l’art. 145, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004 che “i comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione”.
La disposizione del comma 27 è, in ogni caso, anche illogica in quanto analoghe norme sulla sanabilità legata all’accertamento di conformità urbanistica erano – a ben vedere – già presenti nel sistema in via ordinaria e non era il caso di replicarle in una normativa di condono che è, per sua natura, straordinaria.
Mi riferisco, in particolare, come già ricordato dal T.A.R., all’articolo 36 del testo unico dell’edilizia e, prima ancora, all’articolo 13 della legge n. 47/85, norme che condizionano entrambe la sanabilità al positivo accertamento della conformità urbanistica (“doppia conformità” per l’esattezza).
Senonché tali norme sono relative ad abusi “formali”, cioè ad opere che potevano, comunque, ottenere dal comune il permesso di costruire, qualora richiesto prima della loro esecuzione.
Viceversa, il condono si riferisce principalmente (e storicamente) agli abusi sostanziali.
Ne deriva che prevedere, nel terzo condono, l’obbligo della conformità urbanistica per questi abusi sostanziali ha rappresentato, a mio avviso, una ingiustificata compressione di aspettative giuridicamente tutelate sulla base di un acritico “copia e incolla” di principi e disposizioni concepiti per fattispecie completamente diverse e di non agevole applicazione per gli immobili ricadenti in aree assoggettate a vincolo paesaggistico.
Per concludere, mediante il rinvio, con l’articolo 25, al primo condono, è stato eliminato l’unico, vero ostacolo, inutilmente vessatorio, alla definizione delle istanze più recenti.
E la Cassazione nulla ha obiettato sul punto. Tutto qui.

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