PSICOLOGIAMENTE dr Enzo Sarnelli | Quando entriamo in contatto con l’altro, quando un soggetto si relazione con l’alterità, avviene una sorta di “miracolo naturale”, due mondi a volte opposti, si parlano. Accettare il nuovo, energizza il significato di conoscenza che si fa comprensione, entrando in una dimensione che sospende il giudizio.
Avviene anche quando l’io contatta il tu, accettare l’altro così com’è senza volerlo cambiare, senza avere la pretesa di gestirlo seguendo il proprio schema comportamentale. Ma anche il negare, il non accettare provoca una sorta di dipendenza che contamina il processo di consapevolezza e di crescita negli individui. Siamo stati educati a dividere il mondo in buoni e cattivi e abbiamo imparato a distinguere il bene dal male.
Associamo termini come benessere e salute alla parte buona, mentre a quella cattiva affidiamo il significato di colpa, guerra e miseria. Da cosa può dipendere questa modalità di generalizzare? Ciò nasce dal fatto che definiamo buono e auspicabile quello che per noi è facile e comodo accettare, mentre definiamo terribile e cattivo quello che per noi è difficile. Non ci accorgiamo, che facciamo l’esperienza di vivere giorno dopo giorno il mistero della vita, nella difficoltà si scoprono le opportunità e si trattano gli ostacoli come trampolini per un nuovo lancio.
Se si accetta ogni cosa per ciò che è, comprendiamo che non esiste nulla al mondo che non abbia i suoi pro e i suoi contro. Solo a questo punto, scopriamo che vivere è una vera e propria avventura, un viaggio interiore che ognuno affronta a modo proprio seguendo quella mappa cognitiva ed emotiva che abbiamo appreso durante l’infanzia. Ed è proprio in base alle nostre conoscenze o disconoscenze che ben presto, ci differenziamo e apprendiamo stili di vita molto diversi: qualcuno tenderà a riproporre comportamenti e agiti impressi nella famiglia di origine, altri integreranno nuove esperienze con ciò che hanno appreso dal copione di vita iniziale. Sappiamo che siamo tutti figli di una cellula familiare, un complesso sistema organizzato con regole ben precise, con una gerarchia che va rispettata per poter essere inclusi nella dimensione familiare.
Ma il sapere non basta per raggiungere e avere la consapevolezza dell’essere figli, fratelli e sorelle. Per divenire coscienti del proprio stato, ovvero dell’esserci, bisogna vivere l’esperienza della vita. La vita è di per sé la grande avventura che interessa il proprio essere, e da essa possiamo trarre la nostra saggezza per guidare i cambiamenti possibili. Ognuno ha la propria vita e quando diciamo “questa è la mia vita”, intendiamo affermare che c’è una responsabilità di base che accompagna le mie scelte e le mie rinunce. Il segreto sta proprio nell’accettare ciò che ogni giorno la vita ci regala, ma quando questo avviene, capita che siamo troppo occupati nel fare o nel pensare troppo ad altre cose.
Quando tendiamo a disinteressarci, ovvero quando prendiamo le distanze da qualcuno o da qualcosa, significa che stiamo attivando un meccanismo che è attivo in noi come una modalità automatizzata e difensiva, qualcosa che probabilmente ci è servita nel passato per poter affrontare quel tempo, quelle difficoltà e che hanno permesso la sopravvivenza. Ma quel passato è ormai passato! E non dovrebbe recare disturbo al presente, a ciò che nel mio qui ed ora sono interessato a vivermi. Quante volte ci capita di incontrare persone che si disperano per ciò che stanno affrontando nella loro esistenza, sono completamente “irretiti”, si sentono legati al loro passato e non riescono a separarsi da quella condizione.
Eppure c’è la possibilità di renderli liberi, mettendoli difronte alla loro inconsapevolezza che li fa sentire irresponsabili rispetto alla propria vita. Oggi, grazie alla fisica quantistica sappiamo che esiste un ordine universale che garantisce e struttura gli equilibri nel mondo e tra gli uomini; l’ordine dell’amore. L’ordine dell’amore richiede che un figlio accetti la propria vita nella sua totalità, come gli viene donata dai genitori, e che accetti i genitori per quello che sono senza alcun desiderio e senza rifiuto o paura. È un processo umile, significa accettare la vita e il destino, così come ci vengono trasmessi dai nostri genitori: accettare i limiti che mi vengono posti, le possibilità che mi vengono donate, gli irretimenti nel destino di questa famiglia, anche nelle difficoltà e nelle gioie di questa famiglia, qualunque esse siano. I figli ringraziano i loro genitori per il dono della vita.
Quando un figlio rifiuta i genitori, altro non fa che rifiutare sé stesso, rischiando di andare nel mondo sentendosi irrealizzato e vuoto. Ogni essere umano oltre all’imprinting di base (educazione familiare), si rende conto di avere qualcosa di speciale che non deriva dai genitori. Sperimenta una vocazione, un’attitudine, un compito che potrà essere leggero o pesante, qualcosa di allegro o triste, si entra in contatto con una forza universale che ci indica una modalità. È durante l’avventura della vita che cresciamo e ci evolviamo, impariamo a salutare i genitori, ringraziandoli per tutto ciò che hanno saputo darci. Il resto sarà compito di ogni figlio: continuare a fare, a sperimentare, realizzando la sua autonomia come adulto capace di salutare il suo passato e di volgere lo sguardo oltre. Adesso comprenderemo meglio che la forza propulsiva del mondo e della vita si basa su una continua alternanza tra ciò che chiamiamo Bene e ciò che chiamiamo Male, due facce della stessa realtà. Soltanto chi affronta anche le forze oscure della vita e le accetta, resta legato alle proprie radici e alle fonti della propria forza.