sabato, Aprile 19, 2025

Trump e i dazi, tra populismo e coerenza politica | #4WD

Gli ultimi articoli

Iscriviti alla nostra newsletter

Resta informato e non perderti nessun articolo

Daily 4ward di Davide Conte del 8 aprile 2025



In certa opinione pubblica è ormai sport nazionale liquidare Donald Trump come un fuori di testa qualsiasi ogni volta che si parla della sua politica dei dazi. Si ironizza sull’imprevedibilità, si punta il dito contro la minaccia per l’economia globale e si insinua – non troppo velatamente – che non sia all’altezza del ruolo. Ma forse bisognerebbe spostare l’attenzione da ciò che Trump dice a ciò che Trump rappresenta.Perché, al netto delle sparate e dei toni sopra le righe, Trump sta semplicemente mantenendo fede al cuore del suo messaggio elettorale: difendere gli americani, quelli della classe media industriale, traditi da decenni di globalizzazione selvaggia e promesse non mantenute, che hanno visto le fabbriche chiudere, i salari stagnare, e le comunità disgregarsi mentre le élite finanziarie e politiche – spesso bipartisan – brindavano ai miracoli del libero mercato globale. I dazi, in quest’ottica, non sono tanto una misura tecnica quanto un gesto simbolico, un’arma retorica e concreta per dire: “Basta svendere il lavoro americano”. Certo, a noi europei può sembrare una follia economicamente miope, e probabilmente sotto molti aspetti lo è. Una guerra commerciale rischia comunque di innestare instabilità, aumentare i prezzi per i consumatori e danneggiare gli stessi settori che si vorrebbero proteggere. Ma ridurre tutto a una questione di razionalità economica significa ignorare la dimensione emotiva e sociale del voto, oltre alla vera guerra che è in atto: quella tra Trump e l’alta finanza, con quest’ultima che vorrebbe ridurre il potere della politica allorquando viola gli schemi del mercato globale neo-liberista, quello che sostiene le grandi multinazionali che producono nei paesi dai costi di manodopera bassissimi e favorisce una sempre crescente stratificazione del reddito, sfruttando gente e ambiente.Il consenso (ri)ottenuto da Trump non nasce dal nulla. È il risultato di una frattura che la sinistra, e in particolare il Partito Democratico americano, ha spesso ignorato. Quando l’operaio del Midwest guarda ai democratici non vede più il partito che difendeva i lavoratori, ma un’élite urbana, progressista, distante dalle sue preoccupazioni quotidiane. Trump, con tutti i suoi limiti, ha saputo incarnare quel disagio. E lo ha fatto con un linguaggio semplice, diretto, che parla la lingua del rancore e del riscatto alla pancia dei cittadini. È questo che molti opinionisti sembrano dimenticare: la politica dei dazi non è una stravaganza estemporanea, è una promessa mantenuta. È una bandiera identitaria. È il segnale che qualcuno ha ascoltato quella parte d’America che si è sentita per troppo tempo invisibile. Si può – e forse si deve – criticare Trump per la superficialità con cui spesso tratta temi così delicati, per la sua tendenza a trasformare tutto in spettacolo, per l’impatto potenzialmente disastroso che certe politiche possono avere a lungo termine. Ma non si può ignorare il fatto che stia interpretando, con coerenza politica, la domanda di protezione e riconoscimento di milioni di cittadini.In un’epoca in cui la coerenza è merce rara, Trump non sta inventando nulla di nuovo. Sta solo facendo ciò che in passato facevano i leader sindacali: difendere gli interessi del proprio elettorato. Con metodi discutibili, certo. Ma con una lucidità politica che in molti, dalle nostre parti, faticano ancora a comprendere. E credo che tanti Italiani ed Europei senza il cervello all’ammasso, in attesa che il tempo dimostri chi ha ragione, invidino profondamente tale condizione.

Autore

contenuti sponsorizzati da Geozo

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Gli ultimi articoli

Stock images by Depositphotos