Il Giubileo della Speranza inizia anche ad Ischia. E inizia da Forio. Un ulteriore segno, evidente, di come il centro dell’isola sia cambiato. Sarà una pura coincidenza, tuttavia, anche questa celebrazione, sicuramente importante per il popolo cattolico presente sull’isola, ha il suo peso e il suo segno in quella che è una certa dinamica del pensiero che, spesso, emerge.
Con la Celebrazione eucaristica nella basilica Santa Maria di Loreto a Forio che si è svolta ieri sera alle 17.00 e che oggi si replicherà nella diocesi di Pozzuoli, il Vescovo della Diocesi di Ischia, mons. Carlo Villano ha aperto solennemente l’Anno giubilare.
Dal pulpito di Santa Maria di Loreto, Villano ha illustrato quale sia il senso di questo periodo particolare per i credenti cattolici. Un messaggio chiaro, in alcuni aspetti ridondante e coerente sul pensiero che Mons. Carlo Villano ha espresso più volte. Un “parlare chiaro”, quello che l’Apostolo Paolo definisce intelligibile e che richiama alle emergenze e alle solidarietà più pressanti del popolo ischitano, volendo restare alle nostre latitudini.
Villano, come leggeremo tra poco, richiama a due emergenze in particolare: quella dei giovani “senza speranza” pensando alla recente cronaca e all’emergenza degli alloggi sulla nostra isola. Villano richiama l’attenzione su un dettaglio più vicino al mondo cattolico, ovvero la possibilità di trovare un alloggio in vista del matrimonio, ma il discorso si amplifica e riecheggia in un’isola che si trova a vivere l’esplosione dei B&B e l’emergenza casa. Parole che fanno eco a quelle gridate in Piazza Antica Reggia dal popolo di Ischia che lotta contro gli abbattimenti delle prime case di necessità da parte dello stato.
L’OMELIA DEL VESCOVO VILLANO
Sorelle e fratelli carissimi, questo è il Giubileo della Speranza: con questa celebrazione inauguriamo anche qui, nella nostra diocesi di Ischia, l’anno giubilare che papa Francesco ha indetto per tutta la Chiesa e che ha avuto il suo inizio con l’apertura della Porta Santa nella notte del Natale del 2024.
Abbiamo celebrato pochi giorni fa il Natale del Signore e siamo ancora nell’Ottava; abbiamo contemplato nella notte quei pastori che, dopo l’annuncio degli angeli, senza indugio “andarono fino a Betlemme, a vedere questo avvenimento che il Signore ha fatto loro conoscere”. Essi “andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”. La speranza cristiana è proprio quel “qualcos’altro” che ci chiede di muoverci “senza indugio”; quel mettersi in cammino, come discepoli del Maestro, a cui viene chiesto di ritrovare in Lui la nostra speranza più grande, per portarla ad altri senza ritardi, come pellegrini di luce nelle tenebre del mondo.
Siamo allora chiamati a vivere questo Giubileo come pellegrini, anzi, di più, come pellegrini di speranza. Essere pellegrino di speranza è un invito, allora, in cammino per essere pellegrini qui, in questa chiesa, in questa terra che il Signore ci ha donato come dono prezioso da custodire e preservare con cura; la cura di chi si percepisce come amato da Dio.
La parola di Dio di questa festa della Santa Famiglia, ci mostra la famiglia di Giuseppe, Maria e Gesù mentre è impegnata nel pellegrinaggio pasquale annuale con altre famiglie, con un popolo intero. È una coincidenza particolarmente felice la celebrazione di questa festa! È un invito per la nostra chiesa diocesana a riscoprirsi famiglia di Dio, impegnata in un pellegrinaggio con tutte le famiglie e i popoli della terra, Essere credenti vuol dire sapere di essere in cammino verso una meta. E vuol dire sapere di non essere da soli a camminare, ma chiamati a condividere “gioie e speranze” (cfr. GS 1) dell’umanità intera.
Ma cosa significa per noi oggi entrare in questo anno giubilare che il Signore dona alla Sua Chiesa? Quale significato assume per noi oggi, cristiani del nuovo millennio, il Giubileo?
La parola giubileo, lo sappiamo bene, deriva da jobel, corna di capro che emetteva suoni: tale termine rimanda sia al corno che al suono prodotto dallo stesso, che scandiva periodicamente un evento sacro e, al tempo stesso, sociale.
Nel libro del Levitico questo tempo santo, è tempo di riposo della terra, un anno intero in cui gli schiavi sono liberati, i debiti rimessi e le proprietà alienate possono tornare ai loro proprietari originari.
Ancora, come ci ricorda l’evangelista Luca che riporta l’intervento di Gesù nella sinagoga a Cafarnao, alla lettura del profeta Isaia che invita a proclamare l’anno di grazia del Signore, Gesù dichiara: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.
Se questa Scrittura si è compiuta, nel mistero della Incarnazione, in questo Giubileo, oggi più che mai in questo cambiamento d’epoca, e lo scenario internazionale ce lo ricorda quotidianamente-, siamo chiamati a dare carne a questa parola con scelte concrete, con la concretezza della nostra stessa vita.
Il gesto dell’apertura della Porta Santa nella notte di Natale ci ha ricordato che ‘sperare è aprire una porta’; Cristo ‘nostra speranza’ è l’unico sul quale possiamo contare, è l’unico nel quale riporre la nostra fiducia. Lui è la porta aperta, spalancata, che permette la piena comunicazione tra Dio e gli uomini, tra il cielo e la terra: Per noi, passare attraverso questa porta è assumere la consapevolezza che siamo chiamati ad essere testimoni di speranza, siamo chiamati ad essere annunciatori della Parola, annunciatori del vangelo di vita. Anche la presenza dei rappresentanti delle istituzioni del nostro territorio, che ringrazio per la loro partecipazione e presenza ci ricorda che tutta la nostra comunità è chiamata ad essere testimone di speranza.
Mi piace sottolineare come, questo invito alla speranza, è una costante degli ultimi pontefici nel cammino della Chiesa: ricordiamo qui Papa Benedetto XVI, che aveva dedicato alla speranza una lettera enciclica (Spe salvi) e prima ancora, iniziando il suo ministero petrino, sottolineava: «cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita». La speranza è quella forza misteriosa e affascinante che ci permette di vivere con coraggio le scelte importanti della vita, che ci permette di vivere fino in fondo, e senza sconti, la forza dirompente del Vangelo. Ecco perché fin dall’inizio del suo pontificato papa Francesco ci ha ripetuto «Non lasciatevi rubare la speranza!».
Noi stessi siamo chiamati a essere segni di speranza: da coltivare e testimoniare come pellegrini.
Nella sua etimologia il pellegrino è colui che viene dal di là del campo, che entra in una città e ne calca il suolo. Qui, nella nostra Chiesa di Ischia, abbiamo accolto Papa Giovanni Paolo che si fece pellegrino tra noi e che, nella consegna delle tre “a” che tanto amiamo richiamare, ci invitò a rendere concreta la speranza, a rendere concreto il nostro cammino de fede. Di queste tre A oggi con voi vorrei fare mia, fare nostra, quella che si riferisce all’Accogliere. Penso, in questo momento, alla bellezza di un accoglierci tra di noi: il mio pensiero corre alla difficoltà di tante giovani coppie a trovare la disponibilità di un alloggio, di una abitazione; questi nostri giovani che decidono il passo del matrimonio e il sogno di un futuro da vivere qui, nella loro isola, nella nostra terra. Diamo loro la possibilità, con cuore generoso, di aiutarli a coltivare qui il loro futuro. Ai giovani ripeto: abbiamo bisogno del vostro entusiasmo, abbiamo bisogno della vostra sete di vita vera, autentica; abbiamo bisogno della vostra speranza, abbiamo bisogno di cogliere il vostro desiderio di apertura alla vita, abbiamo bisogno di sentire il vostro desiderio di generare vita, vita nuova. Cari tutti e tutte, condividiamo con i nostri giovani questa sete di vita, condividiamo con loro la gioia di costruire su quest’isola il loro futuro.
È in questa stessa luce che vorrei invitare ogni famiglia a coltivare quella speranza che è in ciascuno di noi. È una speranza che nasce dall’ascolto, una speranza che si nutre nell’ essere attenti gli uni verso gli altri. Nessuno ci rubi questa speranza. Uno dei più noti teologi del Novecento recentemente scomparso, Jurgen Moltmann, riprendendo il «principio speranza» di Ernst Bloch, descrive “le persone che sperano in Cristo come coloro che non si rassegnano alla realtà, ma soffrono per essa e cercano di migliorarla”. È, questa, una fede fortemente incarnata nel tempo e nella storia.
Giovani e famiglia: sono due ambiti di attenzione pastorale che ho già richiamato nella mia Lettera pastorale per le diocesi di Pozzuoli ed Ischia e che vorrei diventassero delle priorità di ogni azione ecclesiale e sociale.
Nella bolla di indizione del Giubileo Spes non confundit, papa Francesco ci invita a coltivare segni di speranza: il primo segno di speranza è la preghiera, che dà voce al desiderio che si realizzi un mondo di pace.
Ancora, con il giubileo vogliamo fare esperienza della misericordia di Dio, che è sempre pronto a perdonare. Mentre apriamo insieme la porta del nostro cuore alla speranza, vogliamo condividere con papa Francesco il desiderio di una chiesa che sia casa dalle porte aperte per Todos, Todos, Todos, come bene hanno impresso nella mente i nostri giovani che hanno partecipato all’ultima Giornata della Gioventù in Portogallo.
E allora, come Maria e Giuseppe, siamo chiamato a tornare a Gerusalemme, città della Pace, per metterci alla ricerca di Gesù; a metterci in ascolto della sua parola, anche quando essa ci spiazza e ci sorprende; abbiamo bisogno di lui che vive nelle cose del padre suo. Anche noi, come Gesù, vogliamo occuparci delle cose del padre nostro, vogliamo fare quella verità che ci viene da Dio, che ci viene dal Padre. Il nostro mondo, la nostra terra deturpata ha bisogna di ritrovare la verità che risplende nel Dio-con-noi.
Siamo tutti chiamati ad essere pellegrini di speranza lì dove essa è stata perduta: siamo tutti chiamati a bussare alle porte delle esistenze di questa nostra isola “dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza. Portare speranza lì, seminare speranza lì” (Papa Francesco, Omelia del 24.12.2024). È questa la speranza del Giubileo: la speranza di pace, la speranza di amore, la speranza di perdono che è per tutti.
Carissime sorelle, carissimi fratelli, vorrei allora concludere queste mie brevi riflessioni ripetendo con forza le parole con cui ho concluso la mia ultima lettera pastorale alle Chiese di Ischia e di Pozzuoli: “Questo anno liturgico, che ci avviamo a vivere nella grazia del Giubileo, possa rinsaldare i nostri legami comunitari, perché ci riscopriamo popolo pellegrino nella speranza, per diventare ogni giorno segno di speranza gli uni per gli altri”.