Violenta si schiude la spalla; Muto appare il vulcano. Terra su cui brilla l’ulivo, Tutto passa e scompare. Qualcuno. Essere qualcuno. Un concetto sbadato, scontato e andato via, una reminiscenza lontana, sentirsi nei propri panni. Vestire un abito degno di noi. Quanti modi di dire per un’epoca che ci chiede, ai più e meno giovani, di essere qualcuno. Viviamo compressi nella morsa delle nostre generazioni, inginocchiati e genuflessi all’anziano di turno, al figlio di un dopoguerra rigoglioso, che, come un albero ben indirizzato, si è magicamente ripreso dalla malattia. Noi però, frutti più o meno fortunati, non abbiamo nessuno che ci indichi una cura, che ci proponga una soluzione al nostro malessere. E neanche il vitigno più autoctono può esprimersi verticale se non è la mano dell’uomo a gestirlo verso la luce, verso l’alto.
Così siamo la generazione incompiuta, quella che guarda al domani con paura e al passato con dispiacere. Ci aggrappiamo ai ricordi, alle speranze di un successo doveroso, meritato. Abbiamo studiato o ci abbiamo provato. Abbiamo creduto in noi stessi e negli altri. Ma non è bastato.
Ci siamo divisi, separati per necessità gli uni dagli altri, in un groviglio di indifferenza e rancori. Una parte sembra essersi affrancata alla solitudine, un’altra pur di non provarla vive in superficie e lì si ferma. Eppure c’è una speranza che non è una preghiera, non è la ricerca di un favore o di una grazia, una raccomandazione. La speranza che la nostra mente continui a rimanere sveglia, vigile. Che i nostri sentimenti siano puri e imperfetti perchè ciò che non cambia è ciò che non è, che non esiste, e allora viva il cambiamento, viva la spinta in avanti; che parta con la rincorsa o con uno slancio, poco importa: l’importante è saltare sempre, andare oltre.
Vivo a Ischia e vivo ovunque potrei voler mettere radici, lasciare qualcosa di me o prendere qualcosa da portar via.
Uno scorcio, un vino, un racconto, una tradizione. Crearla magari, per me e per gli altri, di andare e venire, di essere isolana ma non essere isolata. Vivo a Ischia e il lavoro dicono sia impossibile, non una leggenda, è la verità. Vivo a Ischia, un’isola di giovani che escludono i giovani, di vecchi che odiano la loro lentezza, di donne e di uomini che vorrebbero tornare a com’era una volta, senza sapere com’era “quella volta”.
Ma il tempo, che è un concetto tutto personale e inesorabile, scorre. E allora vorrei vivere su di un’isola diversa, ma sempre uguale, che cerca nelle proprie risorse la forza necessaria per ricominciare, che offre ai giovani tutte le possibilità senza chiudersi nelle prepotenze della raccomandazione, del classismo, del nepotismo.
Vorrei vivere esattamente a Ischia, un’isola di terra con un mare bello tutto l’anno, con un sistema meritocratico e spazi per tutti. Per chi ama ballare, per chi ama suonare, per chi semplicemente vorrebbe sedersi e parlare con qualcuno. Nessuno escluso. E allora vorrei vivere a Ischia da isolana, e non da isolata. E allora sì che sarebbe bello essere a casa.
foto roberta colasanti
*René Char, Poesie, Traduzione di Giorgio Caproni a cura di Elisa Donzelli, Giulio Einaudi Editore.