Geppino Cuomo| Anche per una cosa così importante come il voto politico, siamo arrivati al petalo di margherita. Il classico “m’ama non m’ama” applicato alla politica, applicato alla vita. Checché se ne dica o se ne voglia dire, il voto è una cosa seria, troppo seria per scherzarci su. Eppure da tempo, forse troppo tempo andare a votare non è più inteso come una cosa importante. Non è inteso come un fatto serio e decisivo per la vita sociale di tutti noi, da quando ognuno si sente in diritto di dire la sua sui politici senza misurare le parole, senza dare un senso alle parole, il voto non è più inteso come un’arma di difesa, ammesso che chi lo usava intendesse usarlo in tal modo. Per la verità, il voto non sempre è stato considerato in talune zone come qualcosa di importantissimo e se vogliamo, nemmeno un qualcosa di politico.
Specialmente nel profondo Sud e per profondo Sud non intendiamo necessariamente un’espressione geografica, ma sociale e culturale, andare a votare era semplicemente andare a dare il voto al “padrone” che se lo aspettava e che bisognava favorire, perché” ci dà da mangiare”. Magari per quella uscita domenicale ci si metteva anche la cravatta e la giacca che immancabilmente era di taglia diversa da quella giusta. Ma cosa è il voto e perché bisogna andare a votare o magari perchè è giusto non votare. Se andare a votare o meno, non è facile da consigliare. In linea di principio votare, più che un diritto (e lo è) è soprattutto un dovere sociale. La cultura di un popolo la si misura anche in questo. Se si va al voto liberamente, senza essere condizionati da amici e parenti, da gente coinvolta in mille faccende personali e procacciatrice di voti, allora è giusto andare a votare. Che si voti Tizio, Caio e Sempronio, per convinzione nelle sue capacità, perfino per semplice simpatia, allora è giusto andare a votare. E’giusto andare a votare anche se ci si aspetta da chi si vota un piacere personale, ognuno ha mille motivazioni per esprimere liberamente il proprio parere, la propria voglia di essere rappresentato nella stanza dei bottoni.
Ma se andare a votare vuol significare entrare in cabina, apporre un segno di croce su di un segno identificativo di partito solamente perchè gli viene imposto da chi ha altri interessi, se andare a votare non significa assolutamente niente per chi va a votare, allora ditemi perché costui dovrebbe andare a votare e non può liberamente decidere di non andarci, esprimendo in tal modo il proprio disinteresse verso una classe dirigenziale che non è mai arrivata a farsi capire da costoro, politici che non sono mai arrivati in quel nostro “profondo sud.” Una volta il politico era persona rispettabile, rispecchiava quel titolo che gli viene riconosciuto tuttora: “Onorevole”.
Certo, si è sempre “murmuriate” alle spalle di presunti illeciti, ma c’era rispetto istituzionale. Ora si fa di tutt’erba un fascio e si è perso perfino «‘o scuorne». No, ora come ora, non mi sentirei di dar torto o ragione a chi decide di non andare a votare, anche se so, per mia cultura, che andare a votare dovrebbe essere un obbligo sociale.
CANDIDATI ED AFFINI
Come è cambiata la politica. Basta dare uno sguardo attento a questo mondo e ci si rende conto che dagli ideali giovanili che ci mettevano contro i propri familiari e contro i migliori amici, non è rimasto più niente o quasi. Forse è rimasto solo la nostalgia di un mondo che non ci appartiene più. Da giovani avevamo voglia e convinzione di cambiare il mondo. Non ci siamo riusciti ma il mondo è cambiato da solo, senza il nostro aiuto e forse non nella maniera che noi volevamo. Da giovani il sottoscritto e Domenico Di Meglio, grandi amici nella vita di tutti i giorni e nella fede calcistica, erano avversari inconciliabili quando si parlava di politica. I nostri mondi erano assolutistici, non si sarebbero mai potuti fondere. Da grandi, capimmo che volevamo la stessa cosa, magari chiedendola in maniera diversa, ma era la nostra voglia di vita. Ora quel mondo di ideali non c’è più, i partiti non esistono più nella loro sostanza, esistono i Leader che hanno sostituito le sigle con i loro nomi. Ora per indicare certi valori non si dice più di destra o di sinistra, ma si sta facendo spazio la terminologia massimalistica.
Ora o sei fascista o sei antifascista. Fanno perfino tenerezza le bandiere rosse alle manifestazioni politiche. Ora magari è più “chic” portare la bandiera palestinese. Si candida Vannacci ma l’opposizione ne critica perfino la candidatura, figuriamoci cosa dirà se venisse (come è probabile) eletto. Eppure nei suoi pensieri si legge soltanto coerenza con quello che ha fatto fino ad oggi e che tutta l’Italia gli chiedeva. Si candida la Salis, che chiede al governo di intervenire in sua difesa ma si candida in un partito che critica il governo. La sua è una incoerenza perfino coerente e scusate il bisticcio di parole. La Salis se si trova in questi pasticci è per una sua convinzione politica, ma per salvarsi chiede soccorso alla politica che lei biasima. È giusto che si candidi, ma è giusto poi chiedere aiuti al Governo italiano? Coerenze ed incoerenze. In fondo, quanti atei per una vita, in punto di morte, si fanno assolvere dai peccati e baciano il crocifisso? Molti sogni moriranno all’alba, molti però non sogneranno nemmeno. È così!